Archivi per il mese di: dicembre, 2008

 

Sì, lo sappiamo: ci eravamo congedati, con tanto di auguri esplosivi , sperando in una breve tregua natalizia, ma Cossiga ci ha riportato in ballo con le sue dichiarazioni sulle atomiche americane in Italia:

http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/SEGRETO-STATO-COSSIGA-IN-ITALIA-CI-SONO-BOMBE-ATOMICHE/news-dettaglio/3467588

Sono ben tre gli incidenti gravi che hanno coinvolto l’arsenale atomico Usa nell’ultimo anno. Fosse successo qualcosa di altrettanto serio alle centrali nucleari che producono energia, sarebbe – giustamente – scoppiato il finimondo, e invece in Italia questi fatti sono stati liquidati con poche righe. Eppure, quelle coinvolte nei tre episodi sono armi capaci di sterminare centinaia di migliaia di persone in un istante: niente di paragonabile con un incidente anche catastrofico come quello di Chernobyl.

L’Italia “ospita” tra i 70 e i 90 ordigni americani, che si trovano nelle basi di Aviano e Ghedi. Sono al sicuro? Perché si trovano ancora sul nostro territorio? E perché non scatenano le polemiche e le passioni della base di Vicenza?

Dr. Strangelove ne ha parlato con Hans Kristensen della Federation of American Scientists, che monitora da sempre le atomiche europee:

Dottor Kristensen, secondo un rapporto della stessa aeronautica degli Stati Uniti, ci sono problemi di sicurezza nella maggior parte delle basi europee che ospitano atomiche americane. Come vanno le cose ad Aviano e a Ghedi?

"Il rapporto dell’aeronautica, che lei cita, non fa il nome delle basi a rischio, ma dice che la maggior parte hanno problemi. Per quello che so da altre fonti, recentemente gli Stati Uniti hanno contattato il governo italiano per rimuovere le armi da Ghedi e portarle ad Aviano. Lo avrebbero fatto per  ragioni di sicurezza e le preoccupazioni riguarderebbero la capacità della base di proteggersi da eventuali furti. Non so, però, se le bombe sono state già spostate".

Grecia e Inghilterra si sono sbarazzate delle atomiche americane. Come hanno fatto?

"Il caso inglese è molto semplice: gli Usa non ne avevano più bisogno e così le hanno ritirate. Nel caso della Grecia, invece, Atene si è ritrovata a rinnovare la flotta aerea e a quel punto ha dovuto decidere se il paese era disposto a spendere soldi per dotare gli aerei della capacità di lanciare armi nucleari. Atene ha deciso di no. Così tutte le atomiche sono state ritirate e rimandate in USA. E’ andato tutto liscio, segno che un paese può prendere una decisione del genere senza essere buttato fuori dalla Nato o senza che la Nato collassi e succedano cose terribili".

L’Italia come potrebbe muoversi?

"Come la Grecia. La prossima volta che dovrete sostituire i vostri bombardieri, potete chiedervi se davvero volete spendere soldi per equipaggiarli con la capacità nucleare. A quel punto le bombe potrebbero sparire da Ghedi".

E da Aviano?

"Credo che lì ci staranno molto più a lungo. E c’è la possibilità che tutte le atomiche presenti in Europa siano concentrate ad Aviano e a Incirlik, in Turchia. Per ora non c’è una conferma ufficiale, ma credo che Aviano sarà uno degli ultimi posti in Europa dove vederle".

Quindi lei non crede alla possibilità che l’Italia se ne liberi una volta per tutte…

"Non credo che avverrà per iniziativa dell’Italia stessa. So che il vostro governo non è nel gruppo dei paesi che spingono per eliminarle dal proprio territorio e in Italia l’opposizione contro queste armi non è forte come in Germania e in Belgio".

Perché, secondo  lei, il nostro governo non spinge?

"Per un mix di fattori. Per gli interessi italiani in Medio Oriente, perché forse il vostro governo è più conservatore di quello tedesco e quello belga e magari crede di aver già fatto tanto: durante la Guerra fredda erano 19 le basi italiane che ospitavano armi nucleari, ora sono due. Infine, c’è il problema delle élite militari che controllano queste bombe. Sono élite molto ristrette, che raramente sono disposte a rinunciare all’enorme prestigio che dà l’atomica. E’ gente che va in giro per l’Italia e per l’Europa a dire che loro sono molto potenti e hanno una grande influenza sugli Stati Uniti. Il guaio è che nessuno può controbattere, perché tutte le informazioni su queste armi sono coperte da  segreto".

Da come parla, sembra che il problema sia solo nostro. Ma l’America accetterebbe il ritiro?

"Non credo che Bush accetterebbe, ma una volta subentrata la prossima amministrazione, è solo questione di tempo: le atomiche saranno eliminate dall’Europa.  Penso che saranno la Germania e il Belgio a fare il primo passo".

Quanto costa mantenerle sul nostro territorio?

"Moltissimo".

Chi paga per quelle di Aviano e Ghedi?

"Nato, Usa e Italia. Ma non so chi paga quanto: le cifre sono segrete. I costi più consistenti, però, sono i termini di tempo, efficienza delle strutture, della flotta e del personale per mantenere gli altissimi standard richiesti dalle armi nucleari".

Recentemente cinque attivisti italiani (www.vialebombe.org) hanno sfidato il governo americano trascinando le bombe di Aviano in tribunale. E’ la via giusta per ottenere il ritiro?

"Temo di no. Se c’è una cosa che sa fare l’establishment nucleare è quello di proteggersi e di non finire in beghe legali".

Se il governo non si muove e il tribunale non va bene, che rimane?

"E’ una sfida che va combattuta sul piano della politica e su quello sociale. Venti anni dopo la fine della Guerra fredda, non è nell’interesse degli Usa mantenere queste armi in Europa. Togliendole di mezzo, gli Stati Uniti potrebbero concentrarsi su poche forze convenzionali per la Guerra al terrorismo e per altre faccende.  Le cose, dunque, sono destinate a cambiare, ma la domanda è: chi prenderà per primo l’iniziativa?"

"We wish you a happy, healthy, prosperous coming year.

 
Dr. A.Q. and Henny Khan"

Questo messaggio di auguri è arrivato a Dr. Strangelove ieri.  E quando Strangelove l’ha visto, quasi non ci credeva: pensava che fosse lo scherzo di qualche bischero. Così ha voluto verificare che gli auguri  arrivassero veramente da Islamabad. Ed è proprio così. A farceli è proprio lui: A.Q.Khan!!   Anzi A.Q.Khan e signora!!

http://www.stefaniamaurizi.it/Interviste/Khan.html

Dr. Strangelove vi saluta così e vi dà appuntamento al 2 gennaio: AUGURI ESPLOSIVI! 

 

"Whistleblower" è una parola che non circola spesso in Italia. Che vuol dire? Whistleblower è chi, lavorando all’interno di un’organizzazione, un ente o un’azienda, fa uscire all’esterno documenti e  notizie che rivelino un comportamento illegale o immorale di quell’ente.

Può essere il commercialista di una società che tana una grossa illegalità; il militare che fa emergere un crimine di cui si è macchiato un superiore o un certo esercito, ma  di cui  nessuno è a conoscenza, a parte le persone coinvolte o più vicine al colpevole; può essere il dipendente di un ministero o di un ente pubblico che assiste a ruberie; il ricercatore che lavora per l’università o l’azienda e che viene a conoscenza di precise e gravi illegalità; l’agente dei servizi segreti che ha scoperto cose poco edificanti sulla propria "company" (dalla CIA all’ex Sismi)  o il massone che scopre che la loggia a cui appartiene è invischiata in trame inquietanti.

Alcuni whistleblower hanno fatto la storia, tipo Mordechai Vanunu, il tecnico israeliano che, dopo aver lavorato per anni in un importante impianto del programma nucleare militare israeliano, rivelò al Sunday Times i dettagli dell’impianto e del programma di Israele.

Wikileaks ( www.wikileaks.org ) racconta cose interessanti per un whistleblower. Tipo? Quella che segue merita.

Voi siete un affiliato a un loggia massonica, tipo la Kappa Sigma, molto diffusa in America, ma fondata a Bologna nel 1400. Volete far filtrare all’esterno il manuale della confraternita in cui si descrivono i riti. Ne avete una copia, gelosamente custodita sotto chiave. La copia è contrassegnata da un numero che individua in modo preciso il fratello  a cui appartiene il volume. Un giorno avete con voi una bella macchina fotografica e siete soli, lontano da occhi indiscreti.

Fotografate accuratamente ogni pagina del manuale, poi eliminate con la massima cura dalle immagini qualsiasi riferimento al codice che permette di risalire a voi. Scaricate sul computer le immagini in formato jpeg e poi le inserite in una rete di file sharing.

Pensate di essere al sicuro. Nessuno vi ha visto, nessuno sarà in grado di risalire al codice che contrassegna la vostra copia che avete fotografato. Avete scaricato le foto in un computer che non è quello di casa o dell’ufficio e avete inserito le immagini usando una connessione che non è quella a cui normalmente vi connettete. Niente sembra ricondurre a voi. E quindi vi sentite al sicuro. E invece no!

Le foto diffuse nella rete di file sharing possono dire tante cose. Per esempio? Il flash dello scatto ha illuminato i fogli di carta che compongono il volume  in modo tale che, lavorando sulle immagini, si possano vedere non solo le singole pagine fotografate una per una, ma anche il retro e, in alcuni casi, addirittura la pagina seguente.

Nella parte iniziale del manuale fotografato non c’è solo il codice che vi identifica, c’è anche anche una dedica che forse può fare risalire a voi. Eravate stati attenti a non fotografarla, proprio per evitare di tradirvi, ma lo scherzetto del flash vi ha tradito comunque e voi non ve ne siete resi conto, né sapevate che sulle immagini si può lavorare così tanto da far emergere certi dettagli.

Scaricando direttamente le foto sul computer in formato jpeg, vi è sfuggito che questo tipo di file può conservare un’informazione importante: il tipo di macchina fotografica usata.

Che sia una Canon o una qualsiasi altra marca, chi esamina le foto, potrà risalire al tipo di macchina fotografica e a chi l’ha fabbricata. Se siete in una fratellanza massonica, forse non sarà difficile sapere chi e quanti fratelli hanno in dotazione quella macchina.

Morale: abbiamo bisogno degli whistleblower come dell’aria. Questo brutto brutto mondo sarà salvato dagli whistleblower e dal loro coraggio nel far emergere verità che, altrimenti, non emergerebbero mai. Ma anche voi whistleblower non fatevi fregare: meglio evitare il fai da te. Affidatevi a chi ha coscienza e consapevolezza di certe cose.

 

Dr. Strangelove ha segnalato in più occasioni la sua ammirazione per Pervez Hoodbhoy, una delle voci più interessanti e indipendenti del Pakistan, uno che ogni giorno rischia di saltare in aria per la sua campagna per un Pakistan che abbandoni il fanatismo religioso e abbracci una visione laica, razionale, rispettosa dei diritti umani e  individuali.

Tanto per farvi capire chi è, Pervez è uno che, il giorno dopo l’11 settembre, mentre i suoi studenti universitari di Islamabad esultavano per l’attacco alle Torri gemelle, metteva nero su bianco queste parole:

“Gli americani devono capire che, per il loro disprezzo delle leggi internazionali, si stanno facendo nemici ovunque. In quanti paesi ormai un americano può camminare tranquillo? Finché non ci sarà la percezione che c’è una qualche misura di giustizia nelle faccende del mondo, i terroristi continueranno ad arruolare militanti: probabilmente è un trend irreversibile. Anche i musulmani, però, devono affrontare verità amare: non sono le vittime impotenti delle cospirazioni dell’occidente. Le cause del declino islamico sono essenzialmente interne e i musulmani devono rifletterci sopra, capirle e capire che hanno bisogno di stati democratici e secolari, che rispettino la dignità umana. La risposta non è Bin Laden."

Pervez Hoodbhoy ha rilasciato una bella intervista al tedesco FOCUS e ne ha inviato la versione inglese a Dr. Strangelove. E’  lunga per un post, ci rendiamo conto, ma vale assolutamente la pena di leggerla.

La riportiamo qui sotto, mentre l’originale in tedesco lo trovate qui:
http://www.focus.de/politik/ausland/tid-12856/pakistan-die-menschen-sind-blind-vor hass_aid_355157.html

THE MUMBAI MASSACRE AND PAKISTAN’S NEW NIGHTMARES

Tensions between Pakistan and India have been growing after the Mumbai attacks. Are we close to a military escalation?

In spite of vociferous demands by the Indian public, Prime Minister Manmohan Singh’s government has withstood the pressure to conduct cross-border strikes into Pakistan. Correspondingly, in spite of the bitter criticism by Islamic parties, Pakistan’s government has moved against the Lashkar-e-Tayyaba (LeT), the jihadist organization that is almost certainly behind the attacks.  For now, the tension has eased somewhat but another attack could push India over the fence.

What makes the LeT so different from other militant groups? Is Pakistan really moving against it?

 LeT, one of the largest militant groups in Pakistan, was established over 15 years ago. It had the full support of the Pakistani military and Inter Services Intelligence (ISI) for over a decade because it focussed upon fighting Indian rule in Muslim Kashmir. Today it is one of the very few extremist groups left that does not attack the Pakistani army and state; in contrast almost all others have turned into fierce enemies. We now hear that a few members of LeT, who were named by India, have been arrested. Time will tell whether this was a serious move, or if this was a ruse to ease the enormous pressure against Pakistan. If serious, then the Army and ISI will have earned the bitter enmity of yet another former ally. They are afraid of a repeat of their experience with Jaish-e-Muhammad, a formerly supported Islamic militant group that now is responsible for extreme brutalities against of Pakistani soldiers captured in FATA, including torture and decapitations. It’s a nightmarish situation for the Pakistan Army. 

How have Pakistanis reacted to the Mumbai massacre?

The initial reaction was of sympathy. I did not see any celebrations, contrary to those that I saw after 911. But then, as the Indian TV channels started accusing Pakistan and demanding that it be bombed in retaliation, the reaction turned to that of anger and flat denial – Pakistanis did not want to accept that this attack was done by Pakistanis or had been launched from Pakistani soil. Subsequently one saw amazing mental gymnastics. Popular TV anchors, and their guests, invoked far-out conspiracy theories. Years ago, some of the same anchors had confidently claimed that Kathmandu-Delhi Indian Airlines Flight 814 (IC814) had been hijacked by RAW to malign Pakistan. They had also ridiculed the notion that Pakistan was involved in the Kargil invasion. Now, pointing to the RSS hand in the Samjhota Express bombing, they are alternately ascribing the Mumbai attacks to radical Hindus, or to Jews and Americans. It is sad to see intelligent persons losing their marbles. 

Pakistan has always stressed that it will deliver the first nuclear strike if it feels threatened by India? Do you see any signs on the Pakistani sign to carry out its threat?

About a week before the Mumbai massacre, President Asif Ali Zardari had given the assurance that Pakistan would not use nuclear weapons first.
India had announced a no first use policy almost ten years ago. But Zardari is not taken seriously by the Pakistani generals who actually control the Bomb, and the Indian NFU declaration is frankly of no consequence. Cross-border raids by India could well ignite a conventional war. If that happens, all bets are off and it could escalate without warning into a nuclear conflict. For many years US defence strategists, belonging to various think tanks and war colleges, have been simulating conflicts between Pakistan and India. They say that a conventional war will almost certainly lead to a nuclear conclusion. Fear of nuclear weapons has made deterrence work. More accurately, deterrence has worked only thus far. No guarantees can be given for the future.

Why did the assassins choose India instead of committing attacks against Western allies in Afghanistan?

LeT is based around Lahore, which is on the Pakistan-India border, in a town called Muridke. This has a huge militant training and charity complex. LeT’s membership is mostly Punjabi, which makes it linguistically and culturally quite unsuited for fighting in Afghanistan. You could say that LeT is an India-specific, Kashmir-specific group. Indeed, over the years it has had many military successes in Kashmir against Indian forces.
But LeT, like other militant groups in Pakistan, sees a nexus between Indians, Americans, and Israelis. Hence they are all seen as enemies and fair game. 

What did the Mumbai terrorists want?

No demands were made and all hostages were killed. So the purpose of the attack was never formally declared. On the other hand, the stated goals of LeT and similar organizations based in Pakistan leave little doubt. The attack clearly sought to hurt India’s economy and its newly acquired reputation as an economic powerhouse, and to create a climate of war between India and Pakistan. If Pakistan moves its troops towards the eastern border the pressure on the Pakistani Taliban in FATA, which is close to the western border, would be lessened.  Still another reason would be to encourage pogroms against Muslims in India. This would swell the ranks of the extremists, and also have the added benefit of destabilizing both the Pakistani and Indian states. Finally, the attack was a means of releasing hatred against non-Muslims. 

What differences and parallels do you see between the Mumbai attacks and the attack in the in Marriott Hotel in Islamabad?

They were quite dissimilar in how they were executed. The Mumbai attacks were extremely intricate, used GPS and voice-over-internet protocols for communication purposes, involved extensive military training, and probably required planning over a period of a year. The goal was to kill foreigners, particularly Jews and Americans, although Muslims were also collateral casualties. On the other hand, the Marriot bombing in Islamabad was a relatively simple affair involving a single dump-truck with a suicide bomber, and its victims were principally Muslims. The basic purpose, however, was similar – to destabilize the Pakistani state, take revenge on the US (2 of the 58 killed were US marines), and raise the cost of war in Afghanistan and FATA.

In the West experts talk about a new dimension of terror in India. Do you also see tight connections between Lashkar-e-Taiba  and al-Qaida?

One is naturally tempted to guess a nexus between LeT and Al-Qaida.
Of course, they do share similar goals. But in the world that extremists inhabit, mere similarity is insufficient – it has to be much closer than that because small ideological differences are amplified out of proportion. As yet there is no proof of joint operations or cooperation.
So presently this is no more than a plausible hypothesis.

What role does Kashmir play in the current conflict?

Since 1987, Kashmir has been in a state of upheaval. Fraudulent elections conducted by India led to widespread resentment, followed by a horrifically bloody crackdown by Indian security forces. Pakistan’s army saw opportunity in this, and waged a covert war in Kashmir using jihadists to "bleed India with a thousand cuts". The United Jihad Council, which oversees the activities of an estimated 22 Pakistan-based organizations, acts outside of the domain of the Pakistani state but it has had active support from the country’s army and intelligence agencies. The Kargil conflict in 1999 brought matters to a head when General Musharraf initiated a war with the assistance of jihadist forces. This inflicted severe damage on Indian forces but Pakistan was ultimately forced to withdraw. Jihadists subsequently celebrated General Musharraf as a hero, and vilified Nawaz Sharif for a cowardly surrender.

In January 2002, General Musharraf had declared that no groups on Pakistani territory would be permitted to launch cross-border attacks. Was this promise fulfilled?

Subsequently there indeed was a decline in cross-border infiltrations, and some lessening of the covert support given by Pakistani agencies. But this was far from zero and they maintained a strong presence. On a personal note: soon after the terrible October 8, 2005 earthquake, I had gone to various areas of Azad Kashmir for relief work. There I found the Lashkar-i-Tayyaba, Jaish-e-Muhammad, Sipah-i-Sahaba, and other banned jihadist organizations operating openly and freely using military-style six-wheeled vehicles, as well as displaying their weapons. Their relief efforts were far better organized than that of the Pakistan army and, in fact, they were pulling injured soldiers out of the rubble. When I mentioned this fact to General Musharraf a few months later at a Kashmir peace conference, he was very angry at me for discussing a tabooed subject.

On the one hand, we have radical extremists in Pakistan who want to bring strict Islamic law into force and demonize the West. On the other hand, however, the government presents itself as a friend and ally of the United States. Could you please describe this antagonism and explain where it originates from? What does this tell us about the growth of extremism in Pakistan?

Radical extremism is the illegitimate offspring of a union between the United States under Ronald Reagan, and Pakistan under General Zia-ul-Haq.
Twenty five years ago, the two countries had joined up to harness Islamic fighters for expelling the Soviets from Afghanistan. The US was quite happy to see radical Islam spreading because it served its goal at the time. Simultaneously, Pakistan saw a major social transformation under General Zia. Prayers in government departments were deemed compulsory, floggings were carried out publicly, punishments were meted out to those who did not fast in Ramadan, selection for university academic posts required that the candidate demonstrate knowledge of Islamic teachings, and jihad was declared essential for every Muslim. But today the government is in open conflict with the radicals. It has to deal with a spontaneous groundswell of Islamic zeal. The notion of an Islamic state – as yet in some amorphous and diffuse form – is more popular today than ever before as people look desperately for miracles to rescue a failing state. Even though the government and military in Pakistan are allied formally to the US, the people are strongly against the US.

What parts of the Pakistani society support al-Qaida and Osama bin Laden?

Baluchistan and Sind are far less supportive than Punjab or the NWFP.
The amazing fact is that parts of Pakistan’s upper class – which is very Westernized but also very anti-Western – also support the Islamists. I find it tragic that there is no uproar in the country when Taliban suicide bombers target mosques, funerals, hospitals, girls schools, and slaughter policemen and soldiers. People have become so anti-American that it has blinded them to these atrocities. Even the Pakistani left is thoroughly confused and mistakes the Taliban as anti-imperialist fighters.

And where do you stand on this matter? Do you see anything that the Islamists have to offer?

The people of Pakistan need and deserve everything that people everywhere else want. This means food, jobs, houses to live in, a system of justice and governance, and protection of life and property. Equally, people need freedom of worship and thought, education for both males and females, and protection of their freedom as summarized in the Universal Declaration of Human Rights. These are everybody’s primary needs. After this – a distinct second – come matters that deal with national sovereignty, foreign policy, various global issues, etc. Frankly, I cannot see Pakistan’s Islamists offering anything positive. They are against population planning, educating females, tolerating other sects or religions, etc. They neither know the outside world, nor want to know it.
All they know – and know well – is how to make war. Fortunately, as their rout in the recent elections showed, most Pakistanis do not want to live under their narrow doctrines and belief system.

President Asif Ali  Zardari promised to hunt terrorists and to destroy terror camps in Pakistan? But his affirmations seem to be halfhearted. Can’t he do more or doesn’t he want do more?

It is not up to him to do more. The real power lies with the Pakistan Army, which is still undecided as to who the real enemy is. The Army has lost nearly two thousand soldiers in battles with extremists. But it still cannot convince itself that they constitute an existentialist threat to Pakistan. One can understand this reluctance. Over the years, officers and soldiers were recruited into the Army on the basis that they were defenders of Islam and would always fight India. Instead they now have to fight forces that claim to be even better defenders of Islam. Worse, they are no longer being called upon to fight India, which is what they were trained for. So there is confusion and demoralization, and practically zero public understanding or support. Therefore, Pakistani soldiers are not fighting well at all in FATA. Many have surrendered without a fight.

Do you support the government’s war against extremists?

This is the first time in my life that I feel the Army should be supported, but only to the extent that it fights the extremists without killing innocents. Unfortunately, the Army’s current tactic is to flatten villages suspected of harbouring terrorists. The collateral damage is huge and completely unacceptable.

Pakistan has armed and financed the Taliban after the US invasion of Afghanistan. The CIA pays Pakistan to arrest al-Qaeda operatives, but Pakistan uses the money to fund the Taliban resurgence in northwest Pakistan. Any changes under the new president?

It will take time – and perhaps still more suffering – to kick an old habit. Even though the Army is being literally slaughtered by the Taliban, it continues to make a distinction between the "good" and "bad" Taliban.
The good ones are, by definition, those who attack only US/Nato or Indian interests in Afghanistan, but do not attack the Pakistan Army. The good ones are seen as essential for having a friendly Afghanistan when, as will surely happen some day, the Americans withdraw. Among the good Taliban are jihadist leaders such as Jalaludin Haqqani. On the other hand, Baitullah Mehsud or Maulana Fazlullah, are considered bad Taliban because they attack the Army and the state. Interestingly, Army inspired propaganda paints the bad Taliban as Indian agents – which is quite ridiculous. This false differentiation is the real reason for the Army’s ambivalence and inability to deal effectively with the Taliban menace.

Pakistan is a nuclear state. Should we fear that one day the Taliban or al-Qaida could get access to the nuclear arsenal?

I am more worried about extremists having access to nuclear materials, particularly highly enriched uranium, rather than a completed weapon.
Because of secrecy requirements, it is very difficult for outsiders to monitor the output of uranium enrichment or plutonium reprocessing plants.
Interestingly, we are seeing a shift away from nuclear weapons in the West. The unusability of nuclear weapons by national states is being recognized even by mainstream politicians in the US and Europe because nuclear weapons now no longer guarantee the monopoly of power. This makes possible the ultimate de-legitimization of nuclear weapons, and hence winding down of fissile material production globally. This may be our best long-term hope of countering the nuclear terrorist threat, whether by Al-Qaida or other terrorist groups. Meanwhile, in the short term, great care must be given to watching over suspicious nuclear activities.

What should India do and what is your forecast for the region?

India should not attack Pakistan. This would be counter-productive in every possible way. Even if it wins a war, it will be a pyrrhic victory.
On the other hand, a small attack can be no more than a pin-prick. This would do more harm than good because it will unite the army and the jihadists who, at this juncture in history, are in serious confrontation with each other. Worse, even a small attack could lead to large response, and then escalate out of control. Nuclear armed countries simply cannot afford skirmishes. I think India’s demand for action against jihadist groups is entirely legitimate, but this must be done by Pakistan, which is susceptible to international pressure. To get rid of militants and extremists – whether Muslim or Hindu – is in the best interests of both Pakistan and India.

Will Pakistani extremists win or can the West still bring about a rebound?

It’s a grim situation but not irreversible. The invasion of Iraq, and US imperial policies over the last decades, created a hatred for Americans that ultimately translated into support for all who fight them. Most Pakistanis do not approve of the Taliban’s fundamental and primitivist social agenda. But, by virtue of fighting the Americans, popular sentiment is still with them. So, reducing anti-Americanism is the key. One hopes that Barack Obama will be able to undo some of the harm his country did to Pakistan. Let’s see. But basically it is for Pakistanis – not Indians or anybody else – to fight it out. We Pakistanis have to realize that this is a war for our very existence as a civilized nation. Western support for Pakistan must be very judicious and not too overt. Similarly, isolating Pakistan, or inflicting harsh punitive measures, could easily backfire.
The Taliban and allied extremists have a real chance of winning in Pakistan.  The state is already crumbling in places and it could disintegrate quite rapidly, leaving the fanatics in charge. One cannot think of a bigger disaster for Pakistan.

 

 

Gli occhi del mondo sono puntati sulla gravissima crisi economica. E a ragione: una  crisi senza precedenti, che sta devastando milioni di vite e travolgendo tutte le economie del mondo. C’è un’altra crisi, però, che rischia di avere conseguenze esplosive (letteralmente…), una crisi che è sparita completamente dai giornali: quella iraniana.

C’è preoccupazione per un attacco israeliano ai siti nucleari iraniani. Forte preoccupazione…per l’Iran sta per arrivare l’ora X, quella in cui avrà abbastanza LEU (low enriched uranium) da poter produrre una quantità sufficiente di HEU (highly enriched uranium) weapon grade per una bomba. Abbiamo già parlato della cosa, ma forse è bene tornarci: il LEU non si può usare per costruire un’atomica, ma si può usare per scorciare enormemente la corsa verso la produzione di quell’uranio altamente arricchito weapon grade che serve per una bomba: 25 chili di questo materiale sono più che sufficienti.

Il momento è veramente delicato e nessuno ha la più pallida idea di come si uscirà da questa crisi. Tutti stanno a vedere, ma la preoccupazione è seria negli ambienti diplomatici che conoscono il dossier Iran: le elezioni iraniane del 2009 forse spazzeranno via Ahmadinejad e i suoi falchi. E in questo caso l’Iran tornerà  senz’altro a toni più morbidi. Un Obama fresco di elezioni sarà sicuramente più sano di mente di Bush nel trattare con l’Iran (meno sano è difficile…). Certo, tutto questo è vero. Anzi, verissimo. Ma il problema rimane. Ed è grosso.

Chi in questi anni ha trattato con Teheran racconta a Dr. Strangelove che ormai, Ahmadinejad o no, l’Iran non mollerà: non abbandonerà un programma nucleare di grande portata, con il reattore light water di Bushehr,  quello heavy water di Arak, i siti per l’arricchimento di Isfahan e Natanz. Quello iraniano è un grande programma, che mira al controllo dell’intero ciclo del combustibile nucleare, un programma in cui il paese ha affondato miliardi e miliardi e, soprattutto, che ormai l’Iran è in grado di padroneggiare dal punto di vista tecnico: gli iraniani sanno prodursi da soli anche il carbon fiber che serve per le nuove centrifughe, le IR.

Ma se l’Iran non mollerà, come se ne uscirà? Israele lascerà fare? Tel Aviv sa benissimo che, con un programma come quello messo in piedi da Teheran, gli ayatollah arriveranno a quella "nuclear capability" che gli israeliani non vogliono concedere agli iraniani, una "nuclear capability" che porterebbe l’Iran in una situazione analoga a quella del Giappone, che non ha la bomba, ma ha tutte le tecnologie per farsela e, se i giapponesi decidessero di procedere verso l’atomica, in sei mesi sarebbe cosa fatta.

Israele bombarderà i siti nucleari iraniani (chi li ha visitati racconta che sono impressionanti…) per rispedire il programma nucleare iraniano all’anno zero? E poi? Che tragedia si scatenerà, in caso di attacco israeliano? E l’attacco fermerà gli iraniani? Ormai gli iraniani padroneggiano la tecnologia nucleare: che volete che gli israeliani bombardino, la conoscenza ? Le teste dei fisici e degli ingegneri iraniani impegnati nel programma?

 

 

 

http://tv.repubblica.it/copertina/atene-scontri-al-parlamento/27109?video

immagine2

Ancora una volta l’ombra lugubre di un attacco terroristico con armi non convenzionali (nucleari, radiologiche, chimiche, batteriologiche) riaffiora nei grandi media internazionali, a pochi giorni dai tragici fatti di Mumbai.

"Una commissione indipendente ha concluso che nei prossimi 5 anni è probabile che i terroristi mettano a segno un attacco con armi biologiche, nucleari o con altre armi non convenzionali, da qualche parte nel mondo, a meno che gli Stati Uniti e gli alleati non agiscano urgentemente per prevenire uno scenario del genere", scriveva due giorni fa il New York Times.

Trovate qui l’articolo:
 
http://www.nytimes.com/2008/12/01/washington/01bioterror.html?_r=1

Dr. Strangelove ha letto il rapporto della Commissione indipendente in questione: 160 pagine di valutazioni sentite e risentite e chi legge questo blog sa bene di cosa parliamo…

Una delle domande cruciali da farsi è: dall’attacco alle Torri gemelle, abbiamo avuto 7 anni per agire in modo da impedire ai terroristi di mettere le mani su armi non convenzionali, che cosa è stato fatto?  Poco più di niente.

In questi 7 anni, anziché rafforzare la credibilità e l’operatività di quelle istituzioni cruciali nella lotta al terrorismo nucleare (che delle 4 è assolutamente  la minaccia più grave) Bush ha visto bene di sputtanare per bene l’intelligence americana con tutte le bufale sulle armi di distruzione di massa di Saddam. Ha fatto una guerra senza quartiere all’IAEA e a ElBaradei, invece di rafforzare l’Agenzia, contribuire a dotarla di fondi, strumenti e di un efficace potere ispettivo.

In teoria, gli strumenti contro il terrorismo con armi non convenzionali li abbiamo: la risoluzione ONU 1540 del 2004 è uno di questi. Ma, almeno in Italia, tutto rimane solo e soltanto sulla carta: non ci sono soldi per i controlli preventivi, mancano le risorse umane ed economiche, manca l’interesse, l’expertise, tutto.

Dopo l’11/9, in questi 7 anni di regno del grande loser, l’America ha trovato i soldi e gli strumenti "legali" per mostruosità come le extraordinary rendition, ma non per mettere in sicurezza una volta per tutte quel migliaio di tonnellate di uranio e plutonio russo pronto per le armi nucleari e che i terroristi potrebbero rubare per costruire una bomba, magari anche rudimentale, ma capace di sterminare decine di migliaia di civili innocenti in un secondo: altro che 11 settembre!

Per quel materiale la soluzione esiste: è semplice,  è a portata di mano. Ma allora perché non si vede il verso? Per tante ragioni. Per esempio? Perché mettere in sicurezza il materiale fissile russo non è una grande missione ideologica come la guerra in Iraq, capace di polarizzare un’intera società e di far piovere miliardi di dollari su Halliburton e  compagnia brutta. E metterlo in sicurezza non richiede grandi tecnologie che facciano ingrassare il complesso militare-industriale, come fa lo scudo spaziale.

 

 

Oggi è la giornata mondiale contro l’AIDS, una piaga ormai dimenticata nel Primo mondo, quello  ricco che può permettersi quei farmaci contro l’AIDS inaccessibili alle popolazioni del Terzo mondo, sterminate dall’HIV.

Non vogliamo ricordare il World Aids Day con le solite polemiche, ma vogliamo raccontarvi la storia di due grandi medici iraniani, che hanno portato avanti una lotta titanica all’AIDS nel paese degli ayatollah: gli eroi sono i fratelli Kamiar e Arash Alaei.

Da 6 mesi gli Alaei sono rinchiusi nella truce prigione di Evin, a Teheran, nella sezione 209: quella sotto il controllo dell’intelligence iraniana.

Sotto trovate la  loro storia. La vita di Kamiar e Arash Alaei è nelle vostre mani. Nelle mie, nelle nostre. Se c’è una possibilità di salvarli è fare pressione. Fare casino. Con petizioni, blog, facebook e tutto l’ambaradan che conoscete bene.

Last but not least, l’Italia DEVE fare qualcosa per loro. Siamo il primo partner commerciale europeo di Teheran: qualche arma di persuasione l’avremo pure,  no?

 

Ali Khan at Iran UN Mission2

 

AIDS. Teheran: il mistero degli scienziati scomparsi

di Stefania  Maurizi

Pubblicato su Il Venerdì di Repubblica, 28 novembre 2008

Li aspettavano in America, dove erano stati più volte per studiare e partecipare a incontri di grande prestigio internazionale. Stavolta, però, non sono arrivati. Scomparsi. Il mondo aveva conosciuto i fratelli Kamiar e Arash Alaei grazie alla Bbc, che nel 2004 aveva raccontato un lato poco noto del Paese degli ayatollah: strade imbrattate da aghi, prostitute, tossicodipendenti e omosessuali infettati dall’Aids. E l’impegno di due fratelli, entrambi medici entrambi brillanti, in lotta contro il virus. A giugno, però, sono spariti. Per qualche giorno, di loro non si è saputo niente. Poi, sono riapparsi: nella peggiore sezione della peggiore prigione di Teheran, la 209 del carcere di Evin, una divisione sotto il controllo dei servizi segreti iraniani. Perché sono finiti lì?

Kamiar e Arash Alaei non sono due spie o due pericolosi complottardi. Sono solo due medici. «È una tragedia che i nostri ricercatori finiscano dietro le sbarre» dice al Venerdì il Premio Nobel Shirin Ebadi. Ma è tutto quello che la grande attivista iraniana per i diritti umani sa dirci degli Alaei. «Sono in isolamento, soggetti a torture e a un’enorme pressione per estorcere loro false confessioni» scriveva a settembre il sito, solitamente ben informato, Iran Human Rights Voice (www.ihrv.org). Poi, il silenzio. A lanciare l’allarme sull’arresto degli Alaei, a giugno, era stata  un’associazione, con sede a Boston, che ha al suo attivo un Nobel per la Pace, Physicians for Human Rights (Phr), Medici per i diritti umani. «Phr è impegnata da sempre nella difesa dei colleghi a rischio» ci spiega la vicedirettrice, Susannah Sirkin, raccontando come, da vent’anni a questa parte, l’organizzazione abbia spesso lavorato su casi molto delicati, tipo quello del presidente dei medici cileni, incarcerato dal dittatore Pinochet per essersi rifiutato di avallare le torture del regime. «Gli Alaei sono giovani» dice la Sirkin, «ma sono impegnati da oltre dieci anni nella lotta all’Aids, sono conosciuti a livello internazionale e in Iran avevano messo in piedi un programma illuminato, per certi versi anche più avanzato di quello degli Stati Uniti».

In teoria la rigida morale islamica dovrebbe mettere il Paese al riparo da «vizi» come la prostituzione, l’omosessualità e la droga. In pratica, lo scandalo dell’aprile scorso, che ha coinvolto il grande moralizzatore, il generale Reza Zarei, capo della polizia di Teheran, sorpreso in un bordello mentre se la spassava con sei prostitute, lascia immaginare una realtà diversa. La piaga più preoccupante è quella della tossicodipendenza: con la droga che scorre a fiumi attraverso il confine con l’Afghanistan e nonostante la legge bolli come immorali anche i piaceri più innocenti, si ipotizza che tre milioni di iraniani facciano uso di droghe pesanti e ci siano almeno centomila casi di Aids, stando proprio alle ultime stime degli Alaei.

È grazie a loro se l’Iran ha il programma di lotta all’Hiv più efficace del Medio Oriente, un lavoro elevato a modello dall’Organizzazione mondiale della sanità. Gli Alaei hanno iniziato dalle prigioni a mettere in piedi un programma di riduzione del danno, di educazione e informazione. In un Paese in cui sesso e droga sono tabù, è stata un’impresa titanica parlare di comportamenti a rischio e fare accettare l’idea di distribuire siringhe e preservativi per frenare il contagio, ma loro non hanno mai sfidato le autorità religiose. Un disegno troppo esplicito su un opuscolo informativo poteva dare scandalo? Cancellato. L’espressione sex workers era da evitare? Si sostituiva con «donne a rischio». Presentando il proprio lavoro come compatibile con i valori dell’Islam, gli Alaei sono così riusciti a fare accettare la loro lotta all’Aids agli ayatollah di Teheran, esportandola fino in Tajikistan e in Afghanistan.

Racconta una fonte che pretende l’anonimato: «Niente lasciava pensare che potessero avere problemi con il regime, anche perché è grazie a loro se l’Iran ha ottenuto soldi dalla comunità internazionale per la lotta all’Aids». Ma allora perché sono da mesi nella truce prigione di Evin? Secondo l’agenzia degli studenti iraniani, Isna, durante i loro viaggi all’estero gli Alaei avrebbero cercato di creare una rete di contatti per innescare una sorta di rivoluzione di velluto, mobilitando la società civile al fine di rovesciare il regime. Un’ipotesi, però, infondata per chi conosce i due fratelli. «Nel loro lavoro non c’è niente di politico, è un arresto illegittimo» dice Susannah Sirkin di Phr.

Finora hanno protestato associazioni, colleghi, la presidenza dell’Ue, grandi università e grandi giornali. «Vergogna» ha scritto il Washington Post. Metterli sotto i riflettori basterà a salvarli?