Archivi per il mese di: giugno, 2010

 

Lo studio è centrale. Un quartiere bellissimo della nostra città preferita al mondo. Tanto verde, tanta luce. Piante, tappeti, libri ovunque.

All’ingresso un cretino ha tentato di spillarci, a modo suo, informazioni. Poi pretendeva di leggerci la mano. "Sono in grado di predirle il futuro e dirle quando si sposerà". Il nostro sguardo deve essere stato inequivocabile. Non ha detto pio ed è passato oltre.

"Lavori per F?", ci chiede il tipo, appena varchiamo la soglia del suo studio. Caschiamo dalle nuvole. "F?", chiediamo subito, "e chi sarebbe F?", replichiamo. F, spiega lui, è un giornalista che vive in Italia, ma è straniero. "Nessun F, mai visto, sentito e conosciuto", rispondiamo con stupore per la stranezza della domanda.

Quello che racconta è il mondo nero del petrolio: un mondo da brivido. Agghiacciante.

"M compera vini gloriosi, sai quanto costava quello dell’ultimo party?" "Non ho idea", facciamo noi. "Prova a dire una cifra", insiste. "1000 euro?", facciamo noi, con l’aria di chi è convinta di spararla grossa. Ci lancia uno sguardo di commiserazione. Come dire: "Poveraccia, questa qui non sa un cazzo".

Il vino costava quasi 20 volte la cifra che avevamo detto… mai sospettato che potessero esistere vini che costano quanto una macchina. E comunque, non ce ne "po’ fregà de meno", direbbero a Roma. Amiamo il vino almeno quanto disprezziamo il mondo effimero che ci gira intorno.

Intelligence, doppio e triplogiochisti. E’ possibile indagare il mondo del petrolio senza entrare in un buco nero che fa tremare i polsi? No, non è possibile. Alla larga, dunque.

Usciamo da quel palazzo con in testa l’ultima frase del tipo annoiato, che divorava uvetta assaporando un tè delizioso: "Non gli farai niente a quella gente. Oggi stanno a Londra, domani in Romania, poi in Costa Rica. Tu dormi bene la notte, loro se la spassano di giorno. Al di sopra di tutto e di tutti. Hanno amici dappertutto".

 

 

 

 

 

Gli arditi neri

L’aviosuperficie di Terni in cui ha trovato la morte Pietro Taricone è di proprietà del comune di Terni, che l’ha concessa all’Azienda dei Trasporti ternani (ATC), la quale a sua volta avrebbe stipulato una convenzione con la scuola di paracadutismo romana ‘The Zoo’ di Riccardo Paganelli. Nel febbraio scorso l’associazione di estrema destra "Casa Pound" ha messo in piedi una collaborazione con The Zoo per far decollare "Istinto Rapace", un corso di paracadutismo sportivo con connotazione politica che puntava a creare gli "arditi del paracadutismo". Padrino d’eccezione era proprio Pietro Taricone.

Trovate qui il nostro lavoro per L’ESPRESSO sull’incidente a Pietro Taricone:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/taricone-e-il-club-degli-arditi/2129916

 

Leggiamo un articolo su "IL FATTO QUOTIDIANO" che parla di un kit che REPORTERS SANS FRONTIERS vorrebbe distribuire a chi vive in regimi repressivi per comunicare, mandare email, articoli ecc.

Lo trovate qui:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/06/26/per-il-web-reporters-sans-frontieres-lancia-il-kit-anticensura/

Non siamo esperti di tecnologia, siamo solo giornalisti con una laurea in matematica in tasca, mastichiamo poco di ipertecnicismi informatici, però, per 5 anni ci siamo occupati di ‘scienza e tecnologia’ per il quotidiano LA STAMPA e oggi, come giornalisti abbiamo spesso a che fare con persone che vivono in paesi dove violenza e tortura sono la regola.

Uno dei casi che ci è passato per le mani è quello di una persona che voleva fuggire dal paese in cui viveva: un paese devastato da un regime spietato, che gli aveva sterminato le persone più care.  Dovendo comunicare, non sapevamo come fare.

Per  mesi, abbiamo rotto le scatole a tutti: esperti di "anonymous communications", "covert channels", "traffic analysis" e diavolerie varie dei laboratori di informatica delle grandi università del mondo: da Cambdrige fino alle università americane.

Volevamo sapere dalle teste d’uovo interpellate se c’è un modo di poter comunicare in modo sicuro con una persona che vive sotto un regime.

Ecco l’aggettivo fondamentale è questo: "SICURO". Che significa esattamente? Niente nella vita reale è sicuro al 100%. Se, però, la vita di una persona dipende da quell’aggettivo, allora è bene che il margine di insicurezza sia veramente basso. Qui non giochiamo a 007: giochiamo con la vita di un essere umano.

Ebbene: non c’è stato un solo esperto tra quelli da noi interpellati che se la sia sentita di dirci che i vari sistemi (e "kit" come dice Il Fatto)  per comunicare erano SICURI.

Tutti hanno tenuto a precisare che le varie tecnologie da TOR a tutto il resto, sono tecnologie comunque sperimentali e che hanno dei margini di incertezza.

Non solo, se chi usa questi sistemi lo fa in modo approssimativo (come tutti noi profani), il margine di incertezza può anche essere significativo.

Insomma, se la persona che smanetta con TOR vive in un regime brutale, è bene che faccia attenzione a comunicare con questi kit: si potrebbe sentire protetto e libero di parlare e invece non lo è.

Ovviamente, è meglio usare una qualche forma di protezione, anche approssimativa o comunque non perfetta, che non usare niente.

Ma attenzione a far passare la notizia che sono kit a prova di intercettazione, a prova di censura, a prova di identificazione: quando è in gioco la pelle delle persone, è bene essere molto cauti…

 

Oggi vogliamo infrangere una regola che ci siamo autoimposti: mai parlare della  nostra quotidianità. A chi può interessare?

Stanotte è morta una persona a noi cara. Era una giovane donna. Un cancro l’ha divorata in 7 mesi. Aveva 2 bambine piccole.

Nella civilissima Toscana, funziona così: le bambine sono state assistite da uno psicologo, durante la malattia  della madre. Lo psicologo ha consigliato ai nonni di procedere in questo modo, il giorno che la loro figlia sarebbe morta: avrebbero dovuto dire alle bimbe che la mamma dormiva per tutta la giornata, poi di sera sarebbe volata in cielo, trasformandosi in una stella, da indicare alle bambine.

Quando ci siamo ripresi dallo shock, i pensieri hanno cominciato a scorrere tumultuosi. Frammenti di riflessioni a caldo.

Aziende Killer

Non siamo medici, né ci improvvisiamo tali. Ma sappiamo anche noi che il cancro può essere causato da tanti fattori: genetici, ambientali, comportamentali, ecc.

E’ sotto gli occhi di tutti lo stato dell’ambiente in cui viviamo. Abbiamo lavorato abbastanza a inchieste giornalistiche su aziende che avvelenano aria, acqua, cibo, da poter dire che il vero mistero non è perché si muore così tanto di cancro, il mistero vero è: perché siamo ancora vivi, visto come stiamo messi?

C’è una tolleranza agghiacciante verso le aziende killer. In nome del profitto, del lavoro, della competitività, della crescita, intere comunità si ritrovano nelle mani di imprenditori senza scrupoli, che, in molti casi, le avvelenano, le uccidono. 

Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, certo. Non bisogna criminalizzare tutta la categoria degli imprenditori. Non sono tutti uguali e non tutte le aziende sono killer. Verissimo. Ma quante sono quelle killer in Italia? Tante.  Perché i loro AD (o bossetti che siano) non tirano fuori i schei per i depuratori, i  filtri, gli scarichi a norma di legge, lo smaltimento regolare dei rifiuti, l’abbattimento degli inquinanti? Perché non mettono mano al portafoglio? Per averlo bello gonfio da sparare in coca e troie? 

Tempo fa parlavamo con una persona perbene. Ci interessavamo a un’azienda, una delle tante aziende killer per cui nessuno fa niente. Parlavamo di questa totale inazione con toni indignati e lui, persona tutta d’un pezzo (non un corrotto che prende mazzette!) ci fa: "Sa, bisogna fare attenzione a non distruggere l’economia locale". Benissimo, salvaguardiamo il lavoro, certo. La situazione del lavoro è drammatica. Ma la vita e la salute delle persone non vengono prima?  Se ti becchi un cancro, poi lavori? Se tua figlia si becca un cancro? E poi, una cosa: ragionando in termini di economia, dovremmo smettere di arrestare anche i mafiosi, gli ‘ndranghetisti, i camorristi. La criminalità organizzata non è, forse, la prima azienda del paese Italia? Non dà il lavoro a migliaia di persone?

Un progetto Manhattan per il cancro

Sapete no, che cosa era il progetto Manhattan? Era il progetto messo in piedi dagli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale per battere Hitler nella corsa alla bomba atomica. Se Hitler fosse arrivato per primo alla bomba, sarebbe stata la fine. Bisognava batterlo. E gli angloamericani ci riuscirono.

Gli USA misero insieme le teste più brillanti che abbiano mai messo piede su questo pianeta. Robert Oppenheimer. Hans Bethe. Enrico Fermi. Leo Szilard. John von Neuman. E tanti ancora. Intelletti eccezionali. Furono "rinchiusi" in una città segreta (Los Alamos), dove vivevano sotto falsa identità con le loro famiglie.

Giorno e notte, lavoravano a un problema che nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe stato risolto e, soprattutto, che sarebbe stato risolto in tempo per la fine della guerra:  la costruzione della bomba.

In quella città segreta, erano "ammassati" i cervelli migliori del mondo, dovevano dedicarsi a un unico scopo, avevano a disposizione tutte le risorse economiche possibili e immaginabili.

Fu un’impresa leggendaria. Titanica. In 3 anni (dal ’42 al ’45) e con 2 miliardi di dollari (di allora!), misero in piedi una schiera di laboratori e centri di produzione delle dimensioni dell’industria automobilistica americana del tempo.

Ce la facero! Costruirono qualcosa che 3 anni prima sembrava irraggiungibile, impossibile, pura fantascienza: la bomba.

Se è stato possibile per la bomba, perché non è pensabile per il cancro? Che qualcuno ci spieghi perché è impossibile un Progetto Manhattan per il cancro.

 

L’ESPRESSO ha messo online la nostra inchiesta sui parenti all’INGV, l’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia di cui è presidente Enzo Boschi indagato per il mancato allarme a L’Aquila.

Ve la linkiamo qui:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-terra-trema-gli-stipendi-no/2128980

così potete continuare il dibattito (acceso…  ) sul sito de L’espresso.

 

P.S. non sparate sulla giornalista che l’ha scritto, anche perché è inutile: siamo tosti abbastanza da sopravvivere ad attacchi, ingiurie e insinuazioni….

 

Vi siete persi le foto di Berlusconi che fa il baciamano a Gheddafi? Correte a dare uno sguardo…

Giorni fa, Gheddafi ha cacciato dalla Libia l’agenzia ONU per i rifugiati. Frattini, prima, ha censurato la mossa di Tripoli, poi è tornato a più miti consigli: con Tripoli non si scherza. Basta vedere quello che è successo con la Svizzera…

Per l’Italia di Berlusconi, la cacciata dell’agenzia ONU è fonte di grande imbarazzo: con Gheddafi abbiamo un accordo contro l’immigrazione che è stato condannato da mezzo mondo, se ora il Colonnello mazzola l’Agenzia Onu per i rifugiati, le cose si complicano ulteriormente e l’Italia non ha più neppure il paravento delle Nazioni Unite per pararsi il culo dagli attacchi internazionali alle intese Italia-Libia.

Comunque, vi raccontiamo un "retroscena".

Nell’agosto scorso abbiamo lavorato a un’inchiesta per L’ESPRESSO, uscita a doppia firma: Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi.

La trovate qui:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-doppio-gioco-di-gheddafi/2107798/11/0

indagando su un traffico di armi Italia-Libia, ci siamo imbattuti in un’ONG libica: la "International organization for peace, care, and relief"  ((www.iopcr.org).

Questa Ong libica ha come chairman un parente di Gheddafi Khaled El Hamedi, che è titolare di una holding con sede a Tripoli: la ENG HOLDING (http://www.engholding.com/ ) che gestisce importanti business: dal petrolio libico ai prodotti più vari.

L’Ong IOPCR è molto attiva in due settori: l’assistenza umanitaria ai palestinesi e l’assistenza agli emigranti che passano per la Libia e che, per gli accordi Berlusconi-Gheddafi, vengono bloccati a Tripoli per non farli arrivare in Italia.

Tutte le più grandi organizzazioni per la difesa dei diritti umani ci hanno spiegato di dover trattare con questa Ong per poter aver accesso ai campi di detenzione degli immigrati in Libia.

Ebbene, mentre indagavamo sul traffico di armi, è venuto fuori che, la notte del 14 settembre 2006, uno dei trafficanti aveva inviato un fax a un certo numero: investigando, abbiamo scoperto che quel numero corrispondeva sia alla ENG HOLDING che all’Ong, IOPCR.

E’ venuto fuori che la ENG HOLDING, oltre ad avere una sede a Tripoli, ne aveva una in Italia: in un paesino a 9 Km da LA SPEZIA. Così segnalava la brochure ufficiale della ENG, che indicava numero di telefono e fax della filiale spezina.

Nel giro di poco, però, la sede italiana scompare nel nulla. Nessuna menzione nella nuova brochure ufficiale dell’azienda, aggiornata in data 12 agosto 2008. Il numero di telefono e fax della sede italiana completamente inesistenti…

Per andare a fondo della cosa, cerchiamo di contattare l’Agenzia Onu delle Nazioni Unite per chiedere della Ong libica: nessun feedback…

Il nostro articolo su L’espresso, ripreso da DAGOSPIA e che trovate qui:

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/articolo-16362.htm

ha spinto una delle persone citate a scriverci questa risposta che riportiamo sotto e che ci è stata inviata da Sonia Topazio, capo Ufficio Stampa dell’INGV:

"Orgogliosa e fiera di essere figlia di un sindacalista della UIL Ricerca, nonche’ di vantare gia’ da anni la stessa passione del padre, la Dr.ssa Monia Maresci fa presente alla giornalista del “L’Espresso”, all’apparenza molto ben informata di tutte le parentele all’interno dell’Ingv, ma alquanto superficiale e demagogica nella sostanza dei fatti, che la sua assunzione presso l’Istituto e’ avvenuta a seguito della partecipazione e vincita ad un regolare concorso pubblico nazionale grazie esclusivamente al suo brillante curriculum vitae in cui puo’ vantare un Diploma di 60/60 e una Laurea specialistica quinquiennale di 110 e Lode oltre che a numerosi corsi di formazione e pubblicazioni.

Risulta strano il fatto che la giornalista, nonostante fosse a conoscenza di tali professionalita’, si e’ ben guardata di riportarle nell’articolo.

Non si capisce pertanto la finalita’ della citazione; forse i figli dei sindacalisti, proprio perche’ tali, non hanno diritto e capacita’ di guadagnarsi il ‘posto fisso’?

Credo sarebbe molto piu’ interessante chiedere alla sig.ra Stefania Maurizi di rendere noto il suo di curriculum e spiegare come e’ arrivata a scrivere sul giornale.

Monia Maresci"

Questa la nostra risposta alla lettera:

"Gentile  Sonia Topazio,

rispondo brevemente perché il mio mestiere è scrivere sui giornali, non fare polemiche via email.

Renda pure noto alla dott.ssa Maresci e a quanti interessati alla mia persona che il mio curriculum è disponibile online sul mio sito web personale. Se serve, posso fornirne uno ben più dettagliato. Sul sito, la dott.ssa troverà tutti i miei articoli pubblicati (eccetto le ultime due inchieste da inserire appena possibile). Quindi avrà modo di giudicare il mio lavoro, se è questo che le interessa.

Renda altresì noto che:

1)  il mio percorso professionale è il seguente: maturità classica (60/60), laurea in matematica (110 e lode), Master in giornalismo all’Imperial College di Londra, 5 anni di collaborazione regolare con contratto a tempo determinato con il quotidiano LA STAMPA e dal 2006 ad oggi collaborazione regolare con L’espresso e con Il Venerdì di Repubblica.

2) Ho 41 anni, sono precaria, figlia di un operaio e di una casalinga e prima in assoluto della famiglia a laurearmi (ho un fratello artigiano e una sorella aiuto cuoco). Tutti i miei redditi provengono dall’attività giornalistica, non ho mai accettato né intendo farlo nel futuro consulenze di alcun tipo né incarichi esterni che possano in qualche modo condizionare il mio lavoro giornalistico.

Grazie,

stefania maurizi "

 

 

 

Contro il bavaglio.

Contro una legge sulle intercettazioni che lega le mani a magistrati, forze dell’ordine, giornalisti.

Contro l’Italia di Berlusconi, che rischia di fare la fine della Russia di Putin.

 

 

Trovate su L’ESPRESSO in edicola domani la nostra ultima inchiesta, che è stata anticipata da DAGOSPIA di Roberto D’Agostino:

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/articolo-16362.htm

 

C’era una mailing list segreta. Le aziende che scrivevano a quel dipartimento di quel ministero non sapevano che le loro email finivano anche agli uomini in nero. La mailing list segreta spediva le email verso indirizzi intestati a loro.

Fin qui, intelligence, as usual. E’ quello che succedeva dopo che è intelligence di rapina.