Graziella De Palo e Italo Toni erano due bravi giornalisti che si occupavano di traffici di armi e di materiale strategico, terrorismo e Medio Oriente. Lo facevano come fanno i bravi reporter: andando a fondo, indagando.
Il 2 settembre 1980, durante un viaggio a Beirut, sono spariti nel nulla. Per sempre. I loro cari non hanno avuto indietro neppure i cadaveri. 29 anni dopo, le famiglie De Palo e Toni non solo non hanno neppure due tombe su cui piangere, ma, soprattutto, non sono riuscite a venire a capo della verità. Chi ha ammazzato Graziella e Italo? Perché? Cosa avevano scoperto a Beirut di così sconvolgente?
Su L’espresso in edicola questa settimana, trovate il nostro articoletto "Il segreto infinito" (pag. 24) sul caso De Palo-Toni: nell’ottobre scorso Berlusconi ha scritto al COPASIR, il comitato di controllo dei servizi segreti, annunciando che il segreto di stato su De Palo e Toni non sarà rimosso fino alla fine del 2010.
Lavorando all’articolo, abbiamo incontrato Giancarlo De Palo, il fratello di Graziella. Abbiamo chiacchierato per ore, scartabellato plichi di documenti. Siamo rimasti toccati nel profondo. Per 29 anni, Giancarlo ha bussato a tutte le porte, si è improvvisato investigatore, ha incontrato pezzi grossi del Sismi, quelli che hanno ingannato le due famiglie per anni. Per quali motivi? Chi servivano davvero quegli uomini del Sismi? Che ruolo hanno avuto nella morte di Graziella e Italo? 29 anni dopo non c’è una risposta. Un terzo di secolo non è bastato a venire a capo della verità.
6 anni fa eravamo a Boston a incontrare i patologi forensi di Physicians for Human Rights (PHR), l’associazione premio Nobel per la Pace che indaga i crimini di guerra e contro l’umanità con i mezzi della medicina legale: individuano le fosse comuni nei genocidi, tipo quello del Ruanda e della ex Yugoslavia, riesumano i cadaveri e li esaminano per capire come quella povera gente è stata sterminata. Così facendo, raccolgono prove contro le belve umane che hanno scatenato i massacri su larga scala, dal Ruanda fino alla Bosnia.
Il lavoro di PHR è una fatica immane, ha un costo pazzesco, è un lavoro penosissimo: tutto il giorno a contatto con la morte su ‘scala industriale’: 10mila, 100mila cadaveri, milioni di ossa, corpi straziati, torturati, mutilati. I vivi, poi, sono uno spettacolo altrettanto penoso: processioni infinite di donne, bambini, vecchi che si avvicinano agli scavi delle fosse comuni, portando fotografie, esami dentali, analisi mediche, campioni per i prelievi di DNA, il tutto per aiutare a identificare i loro cari, avere indietro almeno le ossa.
"A volte, alla fine della giornata, abbiamo bisogno noi di uno psicologo", ci aveva raccontato William Hugland di PHR".
Hugland, che nel 2003 era uno dei 24 patologi forensi migliori del mondo, raccontava tutto con voce priva di emozioni, usava termini supertecnici e tanto tanto distacco. Solo quando ci diceva dello psicologo, la voce gli tremava appena, un’emotività quasi impercettibile. "Perché fa un mestiere tanto atroce?", gli abbiamo chiesto a quel punto. La sua riposta: "E’ un lavoro atroce sì, ma qualcuno deve pur farlo: ogni essere umano che abbia perso una persona amata, ha bisogno di una chiusura, ha bisogno di mettere la parola fine alla propria sofferenza, sapendo che fine ha fatto la persona che amava".
Chiacchierando con Giancarlo De Palo, abbiamo capito…