Archivi per il mese di: novembre, 2011

 

Ho letto con un misto di sconcerto e sorpresa  queste poche righe de LA STAMPA su WIKILEAKS:

http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/431924/

"E ora se Wikileaks boccheggia il merito è del giro di vite di Washington", scrive il quotidiano di Torino.

Ora, io credo che ci sia poco da festeggiare Washington per aver fatto "boccheggiare" WikiLeaks: chi sta dalla parte della Verità e della Libertà di espressione ha poco da stare contento.

E non credo assolutamente che ci sia da festeggiare per il blocco delle donazioni, citato nel pezzo: una mossa illegale, che denota come il mondo finanziario sia completamente SERVO della politica e di quel Pentagono, che ha le mani lorde di sangue.

E' bastato che il Dipartimento di Stato facesse una comunicazione a PayPal per cancellare le donazioni a WikiLeaks, senza nessuna base legale: è questo il mondo libero e giusto dell'America di Obama?

E solo chi non vede oltre il naso non capisce che il blocco finanziario contro WikiLeaks crea un precedente gravissimo, perché WikiLeaks non è in alcuna black list: è un'organizzazione perfettamente legale. Addirittura il Dipartimento del Tesoro ha dovuto riconoscerlo, replicando ai falchi americani – che premevano per fare inserire WikiLeaks nelle black list delle organizzazioni terroristiche e da colpire con sanzioni -che non esistono i presupposti giuridici per una designazione del genere.

E allora su che si basa l'embargo economico?

Oggi il blocco finanziario colpisce WikiLeaks, domani potrebbe colpire Amnesty International, Human Rights Watch o i giornali non allineati, ma i "mainstream media" rischiano veramente poco da questo punto di vista…

 

Perdonateci il ritardo, ma finalmente siamo online con il nostro nuovo sito:

http://www.stefaniamaurizi.it/index.php?lang=it

Non vi perdete questo fantastico caso:

http://tinyurl.com/bu595w4

La Corte Suprema degli Stati Uniti deciderà SE è legittimo per le forze di polizia piazzare il GPS (Global Positioning System: una tecnologia che permette di tracciare tutti gli spostamenti di un individuo) senza l'autorizzazione della magistratura.

Il caso è esploso dopo che l'FBI ha installato un GPS sull'auto di un narcotrafficante di alto profilo. Il classico delinquente che merita il peggio: un trafficante che aveva la disponibilità di 50 kg di cocaina, nightclub, e robaccia del genere.

L'uso del GPS ha permesso di acquisire prove molto importanti contro il criminale. Purtroppo, però, il Bureau, prima di procedere a impiantare  il GPS, non ha chiesto  l'autorizzazione del giudice e ora i legali del criminale, pur di affossare le prove ottenute grazie alla sorveglianza elettronica che garantisce il sistema di global positioning, stanno dando battaglia.

Non è chiaro perché l'FBI non abbia chiesto quell'autorizzazione: forse temeva che il narcotrafficante avesse talpe negli uffici giudiziari in grado di far arrivare la soffiata al criminale, o forse no, è stata semplice cialtroneria da parte del Bureau.

Sia come sia, una faccenda del genere, in Italia – paese degli Scilipoti e dei pellegrinaggi alla Madonna di San Luca – sarebbe rimasta una bega giudiziaria tra gli inquirenti e la difesa del mafioso o del narcotrafficante. Ma in America, no. In America, Paese avanzato, ci sono alcune tra le migliori associazioni per la difesa dei diritti civili, umani e digitali, come la EFF o l'American Civil Liberties Union, due organizzazioni che hanno contribuito in modo determinante, per esempio, a difendere WikiLeaks dagli attacchi della banca svizzera Julius Baer.

Sono proprio queste associazioni americane ad essersi costituite in Tribunale contro la pratica dell'FBI di inserire GPS su un 'sospetto' senza l'autorizzazione del giudice. E non l'hanno fatto per difendere il narcotrafficante, ovviamente, ma per difendere il diritto del singolo individuo di avere garanzie contro il Grande Fratello. 

E' un caso destinato, inevitabilmente, a dividere l'opinione pubblica: tutte le persone perbene si rendono conto che se la Corte Suprema deciderà di far passare la regola che il GPS può essere montato sulle auto solo dopo aver chiesto il permesso del giudice, un criminale pericoloso, come il narcotrafficante di cui abbiamo detto, la farà franca. E con lui, probabilmente, la faranno franca tanti delinquenti braccati dalle forze di polizia senza una 'warrant': l'autorizzazione preventiva del giudice.

Allo stesso tempo, però, tutte le persone perbene si rendono conto che l'era della sorveglianza elettronica ci espone a minacce gravissime e lo stesso Stato Benigno, rappresentato dagli agenti dell'FBI che hanno fatto il loro dovere raccogliendo prove contro un criminale, può sempre rivelarsi uno Stato Maligno, dove poliziotti e giudici corrotti usano questi metodi micidiali contro persone scomode, oppositori politici, ecc. La tecnologia è neutra. Può essere usata per il Bene e per il Male.  A fare la differenza sono le leggi, che stabiliscono quale utilizzo è legittimo e quale è illegittimo.

E chi afferma che, se sei una persona onesta non hai nulla da temere da questi metodi e non devi aver paura di essere intercettato o braccato con il GPS, è una persona – consentiteci di dirlo-  limitata, che non capisce la posta in gioco.

L'era della sorveglianza elettronica rischia di trasformare la società in uno stato di polizia. Solo le regole possono impedirlo. Intercettare e braccare i mafiosi, i narcotrafficanti, i  politici tangentari, i preti pedofili è giusto e sacrosanto, ma va fatto in quadro di regole che garantiscano la società contro abusi gravissimi.

Vi abbiamo già raccontato qui sotto il problema delle telecamere di sorveglianza

http://stefaniamaurizi.splinder.com/post/24355345/telecamere-di-sorveglianza


 

Trovate qui il nostro ultimo lavoro per l'ESPRESSO:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/iran-la-bomba-dellonu/2165671

Che l'Italia sia un Paese dove la cultura tecnica è inesistente e le cronache giornalistiche sguazzino solo tra tangentari e puttane è un dato di fatto. 

Se prendete un giornale italiano, è tutto un terrorizzare i lettori su quello che di terribile c'è in rete: venditori di pillole letali, hacker che sono la quintessenza del Male, servizi come Skype completamente in mano a narcotrafficanti e mafiosi. Quando sono stati arrestati 4 ragazzini di Anonymous, i media italiani hanno titolato: "smantellata la cellula italiana di Anonymous", con tanto di video al TG1: manco fosse Al Qaida.

Più che le cronache dalla Frontiera Digitale, nuovo avamposto dei diritti umani e delle libertà civili, la copertura mediatica della Rete, in Italia, sembra un bollettino della polizia postale. 

Nel nord Europa, in Inghilterra e in America – realtà avanzate, dove la cultura tecnica è rispettata e produce benessere, progresso sociale e culturale- i giornalisti cercano di capire a fondo la cultura digitale e il suo impatto su diritti umani come la privacy o su risorse fondamentali per la comunità, come il whistleblowing. Ci si sforza di indagare  e capire rivoluzioni come quella di WikiLeaks o  di Anonymous. 

Ma in Italia, no. L'Italia, Paese degli Scilipoti e dei pellegrinaggi alla Madonna di San Luca, banalizza e criminalizza tutto. Noi sì che siamo più furbi e smaliziati degli altri!

L'esempio per antonomasia di come il giornalismo italiano tratta la rivoluzione digitale è stato il linciaggio mediatico di Julian Assange.

Firme che si spacciano per grandi esperti di internet sono arrivate a scrivere che il passato di Julian puzza di spionaggio, perché, se davvero venisse dal mondo hacker e degli attivisti della rete, nella comunità hacker il nome di Assange sarebbe noto, e invece no: tra gli hacker della sua generazione nessuno lo conoscerebbe. Per fortuna, però, il giornalismo vero esiste ancora. E prima di scrivere cazzate e formulare ridicole teorie del complotto, ci sono giornalisti che vanno a vedere con i loro occhi, toccare con le loro mani e indagare con il loro cervello. Uno di quelli che l'ha fatto è Raffi Khatchadourian del migliore giornale del mondo: il New Yorker.

Khatchadourian ha indagato su Assange, scrivendo un fantastico pezzo per il New Yorker:

http://www.newyorker.com/reporting/2010/06/07/100607fa_fact_khatchadourian

Che è venuto fuori? E' venuto fuori che da giovanissimo Assange ha subito un procedimento giudiziario per le sue intrusioni informatiche. Rischiava 10 anni di galera, ma alla fine il giudice ha stabilito che non c'era evidenza di un comportamento di Assange mirato a distruggere sistemi informatici o acquisire illegalmente denaro: le sue incursioni erano un puro piacere intellettuale mirato a capire come entrare nei sistemi e navigare attraverso di essi.

Questa la conclusione del giudice:

“There is just no evidence that there was anything other than sort of intelligent inquisitiveness and the pleasure of being able to—what’s the expression—surf through these various computers.”

La pena a cui è stato condannato Assange, quindi, è stata molto mite, come ha raccontato Khatchadourian, che, per scrivere il suo pezzo, ha parlato con Ken Day, il capo degli investigatori a cui era stato assegnato il caso.

Del passato da hacker di Assange c'è almeno un'altra prova fattuale: il libro 'Underground', scritto da Julian con la ricercatrice Suelette Dreyfus nel lontano 1997: un testo molto amato nell'ambiente hacker e che vi consigliamo di leggere.

Vogliamo sostenere che queste evidenze fattuali siano state fabbricate e che Assange si sia costruito fin dai lontani anni '90 una falsa identità per coprire quella vera, fabbricando documenti giudiziari e libri fasulli? Tutto è possibile, certo. Ma se entriamo in questa logica, allora sono ammissibili le teorie più trash del mondo, come quella che il Papa la notte faccia bagordi con le aliene di Roswell. 

Abbiamo fatto questa lunga parentesi su Julian Assange per denunciare la superficialità del giornalismo italiano, sempre pronto ad alimentare sospetti, timori, chiacchiere, diffamazioni gratuite più che a mettersi a lavorare sodo per verificare i fatti, senza ripetere a pappagallo la versione dei fatti di spioni e sbirri, che vedono il mondo attraverso una lente particolare: quella della disinformazione, i primi, e quella della repressione della criminalità, i secondi.

Oggi, per esempio, sul Corriere c'è un pezzo su BITCOIN: la criptomoneta molto  in voga nell'ambiente dei geek: i talenti del computer.  

http://www.corriere.it/cronache/11_novembre_03/moneta-elettronica-rete_525d18ec-0612-11e1-a74a-dac8530a33df.shtml

Il Corriere arriva a scrivere: "viene usata soprattutto da chi ha qualcosa da nascondere". Una conclusione deprimente, perché dimostra di non aver capito lo spirito libertario alla base di BITCOIN, sviluppata da gente preoccupata per la privacy e un'invenzione che affonda le sue radici nella cultura dei mitici cypherpunks, che non erano delinquenti o narcotrafficanti che sognavano la moneta che non lascia tracce per far sparire i proventi dei loro traffici, ma erano alcune delle migliori menti dell'informatica: da Tim May, a Philipp Zimmermann a John Gilmore.

Ridurre BITCOIN a un mezzo usato da chi qualcosa da nascondere rivela una cultura da celerini, da gente che ha un approccio sbirresco alla rete, esattamente il contrario di quello che la Rete rappresenta in tutto il resto del mondo.

 

Ha perso la sua battaglia. Julian Assange verrà estradato in Svezia per rispondere alle accuse di stupro che gli rivolgono due donne. Da 330 giorni è agli arresti domiciliari senza essere incriminato per alcun reato. I magistrati svedesi ne pretendono l'estradizione solo per poterlo interrogare in merito alle accuse delle due ragazze. Eppure Assange ha passato l'ultimo anno segregato a Ellingham Hall, una magione nel Norfolk, a due ore da Londra, agli arresti, con un braccialetto elettronico alla caviglia e l'obbligo della firma. 

Trovate qui il nostro ultimo lavoro per l'ESPRESSO:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/wikileaks-verso-la-clandestinita/2165266


 

Entro stamani sapremo se Julian Assange verrà estradato in Svezia.

Come abbiamo scritto  almeno mezzo milione di volte, ad oggi Julian Assange ha passato 330 giorni agli arresti domiciliari senza essere incriminato per alcun reato: la Svezia chiede di estradarlo semplicemente perché vuole interrogarlo in merito alle accuse di stupro rivolte da due donne svedesi.

E' un mistero perché i magistrati svedesi non abbiano interrogato Assange quando era in Svezia, dove ha passato un lungo periodo.

Possiamo testimoniare personalmente che il 28 settembre 2010, a Berlino, abbiamo assistito a una conversazione telefonica tra Assange e il suo avvocato, Mr. Hurtig. All'avvocato, che spiegava al telefono ad Assange che la procura svedese aveva emesso un mandato di arresto per interrogarlo, Julian Assange rispose: "Vogliono interrogarmi? E perché non l'hanno fatto prima? Sono stato sei settimane in Svezia".


Abbiamo raccontato questo particolare in un nostro articolo dal titolo "L'eversore" pubblicato su l'ESPRESSO il 9 dicembre 2010, prima che montasse tutto il caso estradizione. E abbiamo anche fatto una dichiarazione giurata, consegnata all'avvocato di Assange, in cui abbiamo raccontato questa storia.

Julian Assange è un personaggio che ispira grande amore e grande odio.

Come abbiamo scritto in più occasioni su l'ESPRESSO, abbiamo passato gli ultimi 3 anni a ferquentare, indagare e studiare Assange e il suo staff, con giornalisti internazionali con cui abbiamo condiviso analisi ed esperienze fin dalla prima ora, quando nessuno si occupava di WIKILEAKS. 

Assange è una persona molto particolare, come lo sono tutte le persone particolarmente dotate dal punto di vista intellettuale.

Le sue idiosincrasie e asperità caratteriali gli hanno creato tanti nemici nel mondo dei giornali.  Fior di giornalisti hanno fatto i soldi vendendo libri che promettevano di rivelare il "murky world" di Julian Assange. Eppure, ad oggi, a parte libri che raccontano le asperità caratteriali del fondatore di WIKILEAKS, nessuno ha tirato fuori niente di sconvolgente e criminale. 

Senza la genialità, la paranoia, la determinazione e lo spirito da visionario di Julian Assange, WIKILEAKS non esisterebbe.