WIKILEAKS è un sito che fa filtrare documenti segreti scottanti. La nostra esperienza con loro, finora, è positiva.
Ne abbiamo scritto questa settimana per IL VENERDI’ di REPUBBLICA.
Trovate qui l’articolo:
http://www.stefaniamaurizi.it/Articoli_e_reportage/Wikileaks.html
Ma vogliamo regalarvi l’intervista con Daniel Schmitt di Wikileaks in versione integrale:
DANIEL SCHMITT, INTERVISTA DEL 6 APRILE 2010 di Stefania Maurizi
Hello Daniel! This is Stefania.
Hello!
Il sito Wikileaks è ripartito dopo la pausa?
No, stiamo rilasciando materiale importante di continuo, ma Wikileaks non è ancora tornato a operare regolarmente
Puoi presentarti ai nostri lettori?
Sono Daniel Schmitt, uno dei giornalisti di Wikileaks, nonché loro portavoce.
Quando hai cominciato a lavorare per loro?
Verso la fine del 2007.
Come è nata Wikileaks?
L’idea è venuta a più persone insieme. C’erano tanti giornalisti che avevano molto materiale, volevano pubblicarlo, ma non c’era un sistema per farlo. E non c’erano sistemi per proteggere questa gente in alcune parti del mondo, perché la libertà di stampa è sempre più compromessa. Così è nata Wikileaks.
Voi di Wikileaks incoraggiate a inviarvi documenti in formato elettronico. Come potete essere sicuri che in questo modo proteggete l’anonimato delle vostre fonti?
Usiamo molte soluzioni. Dipende da quello che la fonte vuole fare.
Se la fonte è seduta a casa e carica sul nostro dito dei documenti dal suo computer, allora questo può anche essere problematico se la polizia o l’azienda che si vuole esporre sta intercettando le sue comunicazioni.
Però abbiamo un sistema di cifratura tale che chi lo sta spiando può vedere che sta inviando files a Wikileaks, ma non ne può leggere il contenuto perché è criptato.
Non solo: abbiamo costruito il sito in modo tale che chiunque lo visita, trasmette dati a Wikileaks e questo sovraccarico di dati inviati serve a nascondere chi effettivamente sta inviando un documento delicato. E’ una tecnica che permette di nascondere con un traffico di copertura chi invia materiale delicato, che si perde nelle tonnellate di dati che ogni minuto arrivano al sito. Quindi nessuno può acquisire la prova legale del fatto che tu abbia inviato quel file delicato: può avere la prova che sei andato sul sito, ma non che hai inviato materiale compromettente.
Quindi i documenti che ricevete sono completamente anonimi? Neppure voi di Wikileaks riuscite a risalire a chi ve li ha inviati?
Assolutamente, le nostre connessioni li rendono anonimi ed eliminano tutti i metadati, che sono quei dati elettronici che possono far risalire a informazioni del tipo: chi ha lavorato per ultimo a un certo file elettronico, chi l’ha modificato per ultimo e così via.
Se, però, guardiamo ad alcuni documenti che avete fatto filtrare c’è di che mettersi le mani nei capelli. Voglio dire: prendiamo il documento sulle procedure di Guantanamo. Posso immaginare che agenzie come la CIA o la NSA siano state create in modo tale da avere tutti gli strumenti tecnici possibili per impedirne la diffusione. Come potete essere certi che il vostro sistema è in grado di proteggere al 100% chi fa filtrare certi file?
Prima di tutto bisogna dire una cosa: agenzie come la CIA o la NSA non hanno tutti i mezzi, come dici tu. L’unico modo in cui potrebbero rendere questi documenti assolutamente protetti è attraverso un sistema di questo tipo: nascondono nel documento un numero di serie o una parola che permetta di identificare in modo assolutamente univoco la persona che è in possesso di quel documento.
Faccio un esempio: creo un documento segreto in 100 copie, ciascuna delle quali viene distribuita a 100 funzionari della CIA. Le 100 copie coincidono in tutto, tranne che per una parola: John ha la copia dove la parola X è sostituita con la parola Y, Dave ha la copia dove la parola X è sostituita con la parola Z. Così, se qualcuno fa filtrare una copia di questo documento segreto, la CIA va a vedere quale copia è uscita: quella con la parola Z al posto di X? Allora è Dave il funzionario infedele da punire. E’ un sistema, questo, che rende ciascuna copia assolutamente unica e ciascun custode del documento "schedato". Ma è un sistema costosissimo, che nessuno può permettersi.
Quindi non avete mai avuto problemi con le fonti?
Mai. Abbiamo un fortissimo sistema di protezione. Se qualcuno ci invia un documento che è legalmente protetto dal segreto in Italia, quella protezione della legge vale a Roma, ma non in Svezia. Tutti i pacchetti internet in cui il file di invio del documento è scomposto vengono spediti tramite router in paesi in cui quelle protezioni legali possono essere aggirate perché non valgono. Se ci denunciano in Italia, noi possiamo opporci alla denuncia in Svezia.
Perché parli della Svezia in particolare?
La Svezia ha le leggi più garantiste nel mondo a tutela delle fonti e dei giornalisti. E Wikileaks è stata creata in modo da avere un sistema che si appoggi a questi paesi più garantisti al mondo. Se tu ci invii qualcosa, quel documento va in Svezia, da lì viene dirottato sugli USA, poi in Belgio e ancora rimbalza in altri paesi, che sono tutti parte del nostro sistema di protezione delle fonti.
Ho visto che avete un progetto con l’Islanda: che roba è?
E’ una domanda complicata. Prima di tutto, l’Islanda è un paese piccolo, così ha una burocrazia molto più semplice che altri paesi, poi hanno una crisi tremenda, dovuta anche alla mancanza di trasparenza che ha permesso a funzionari di un certo tipo di cose nella totale mancanza di controllo. E quindi ormai in Islanda c’è un grande desiderio di trasparenza, di una stampa che possa indagare e scrivere liberamente.
Poi l’Islanda ha un corpo di leggi molto limitato rispetto ad altre democrazie, tipo quella tedesca. Se fai caso a tutte le leggi che vengono applicate quando c’è un problema con internet, ti rendi conto che finisci sempre nel campo delle interpretazioni, perché tutte le leggi sono state praticamente create molto prima di internet, e questo è un grande problema: non sono adatte alla società dell’informazione. L’idea è partire da un paese come l’Islanda che ha un piccolo insieme di leggi, per creare un sistema legislativo pensato e adatto alla società dell’era di internet.
Se prendiamo un guru della trasparenza come Steven Aftergood, ci rendiamo conto che non è a favore della pubblicazione indiscriminata di documenti segreti. Tu lo sei?
Assolutamente sì. Nessuno, nessun giornale, TV, radio può giudicare cosa è importante pubblicare per qualcun altro nel mondo e cosa non lo è.
D’accordo, ma ammetterai che ci sono documenti sensibili. E’ una buona idea divulgare segreti sulla struttura di una centrale nucleare, rendendola così vulnerabile a un attacco terroristico? Potrebbe essere molto pericoloso pubblicare queste informazioni…
Certo. Mi spiego meglio: per ogni informazione di valore, c’è gente disposta a pagare, soprattutto se parliamo di informazioni relative alla security. I terroristi hanno soldi, possono comprarsi queste informazioni.
La cosa migliore che puoi fare, quando ti ritrovi con qualcuno che, gratuitamente, senza guadagnarci assolutamente niente, ti passa certi documenti, è pubblicarli, in modo da dimostrare a tutti che c’è un buco nel sistema di protezione di queste informazioni. In questo modo finisce il mercato nero delle informazioni. E ti assicuro che il vero problema è il mercato nero, perché quando si sa che una certa cosa importante e segreta è filtrata illegalmente perché qualcuno ha sborsato dei soldi a un funzionario infedele, si corre un grande rischio. Quando, invece, il caso esplode perché un sito come Wikileaks pubblica quell’informazione segreta, allora si prende coscienza del gap nel sistema di protezione dei dati.
Quindi ti senti di agire responsabilmente pubblicando dati sensibili che potrebbero essere usati dai terroristi?
Sì. E la cosa notevole è che nessuno prima di noi di Wikileaks l’ha mai fatto.
Ti sei mai imbattuto in documenti per cui ti sei sentito combattuto tra la spinta a pubblicarli e la paura che potessero essere usati da qualcuno pericoloso?
Sì, ti faccio un esempio. Conosci gli IED? Gli "Improvised Explosive Devices" [sono gli ordigni artigianali che fanno strage di sodlati americani in Iraq e in Afghanistan, ndr].
C’è questo sistema che si chiama Warlock che permette di rilevare gli IED. Noi abbiamo pubblicato un manuale di Warlock e siamo stati condannati pubblicamente da tutti per averlo fatto. Questo è successo 2 anni fa circa.
Poi qualche settimana fa è venuto fuori che un anno e mezzo prima della nostra pubblicazione, i terroristi avevano già quelle informazioni perché le avevano comprate. Eppure per un anno e mezzo non si è saputo niente…Quando siamo usciti, a quel punto, l’esercito ha dovuto prendere atto del buco nel suo sistema di protezione del manuale, non ha potuto più nasconderlo.
Voglio farti un’ultima domanda. La domanda del diavolo: mettiti nei panni di uno che ha in mano informazioni esplosive, delicatissime, tipo quelle su Guantanamo. Perché un tipo così dovrebbe fidarsi di voi di Wikileaks? In fondo, lui che ne sa chi siete davvero?
Questo è vero, ma abbiamo una certa reputazione e credo che l’unica cosa che possiamo fare è difenderla e dimostrare che noi pubblichiamo tutti: documenti dall’Inghilterra, dagli USA, dalla Palestina, da Israele. Tutto . Noi siamo neutrali e questa è un’altra ragione per cui non selezioniamo nulla, non diciamo: questo lo pubblichiamo e questo no.
Mi fai questa domanda, ma a te, che sei giornalista, io potrei fartene una analoga: come possono essere sicuri i tuoi lettori che dietro a te non ci siano altri? Che non sei sul libro paga di un’azienda o della polizia? Non si può mai sapere. E il solo strumento che hanno in mano i tuoi lettori è la fiducia e lo spirito critico: osservare cosa scrive un giornalista, come si comporta, se difende certi interessi commerciali. Noi di Wikileaks non abbiamo alcun interesse commerciale.
Come vi finanziate?
Lavoriamo su base volontaria: io non prendo una lira, nessuno viene pagato.
E qual’è la vostra esperienza con i giornalisti dei grandi media?
Positiva. Assolutamente.